Precarietà
pre-ca-rie-tà
Significato Caratterizzato da incertezza, instabilità, temporaneità
Etimologia da precario, voce dotta recuperata dal latino precàrius ‘concesso per favore, revocabile, malsicuro’, derivato di precari ‘supplicare’.
- «È ancora una situazione in cui noto una certa precarietà.»
Parola pubblicata il 11 Giugno 2025
Le parole comuni, specie quelle che hanno in sorte di essere al centro di discorsi politici o comunque diffusi e correnti, corrono il rischio concreto di usurarsi, di opacizzarsi, di perdere smalto: l’uso stretto e continuo tende a scavare immagini solite, a involgerle in veli di soliti discorsi, e a far perdere il contatto con la verità prima del concetto.
La precarietà è emblematica: la consideriamo pragmaticamente come una condizione di incertezza, di instabilità, di temporaneità. E in questo senso pare avere poco mordente: le sorti del non definitivo possono essere le più differenti. Basti pensare all’eternità a cui accede il provvisorio — e comunque la qualità del temporaneo e dell’incerto sono comuni a ogni esperienza della vita, che pretesa sarebbe mai la non precarietà?
Il punto è che la precarietà, in realtà, è la condizione di ciò che è revocabile ad arbitrio altrui. Ce la dovremmo far suonare all’orecchio come pregarietà, per capirla bene: il precario è ottenuto supplicando, pregando, e quindi è ottenuto per grazia. Così si nota bene che si parla d’incertezza, sì, ma è un’incertezza molto particolare.
In diritto il bene che si ha in godimento a titolo precario può essere chiesto indietro in ogni momento; una situazione economica che si distingue per precarietà è malsicura nel senso che ogni minimo, arbitrario evento contrario può farla precipitare, e lo stesso si può dire di una salute precaria — e la precarietà di un equilibrio ha in genere questo carattere; un impiego precario non ha solo l’orizzonte stretto del temporaneo, o la mutevolezza del ballerino: la precarietà qui non è una semplice questione di variabilità e flessibilità — ha l’indegnità di ciò che si riceve per concessione, e che quindi non può che viaggiare su piani in cui stabilità e diritti, magari richiesti o addirittura pretesi, sono innanzitutto segni d’ingratitudine.
Questa prospettiva rende la precarietà (peraltro, attestata solo a Ottocento inoltrato) unica, fra le parole che le si avvicinano. Quelle imperniate sulla transitorietà, sui caratteri dell’effimero e del passeggero partono per la tangente dell’impermanenza; quelle imperniate sulla mancanza di equilibrio, dall’instabilità all’incertezza, non valorizzano la sua ombra di miseria.
Tenere presente la precarietà come condizione di ciò che si riceve per grazia, e sempre revocabile da fatti o volontà arbitrarie, riesce a farci tenere i piedi più a terra. Ogni cosa della vita è precaria — ma alcune è importante lo siano... meno.